Anche quest’anno il Liceo si è distinto al concorso “Parole e immagini per Björn Larsson” indetto dall’Associazione culturale Thesis in occasione di DEDICA FESTIVAL 2017.
Mercoledì 15 marzo hanno ricevuto i premi dalle mani dello scrittore svedese i nostri quattro allievi:
CHIARA TERSIGNI, classe 2^G, con un saggio dal titolo L’essenza del sogno
LUCREZIA GREGORIS, classe 4^D, con il saggio Non serveche tu sia nell’esercito per combattere una guerra
FRANCESCO COSTA E MATTEO FABBRO, classe 2^B con la fotografia I segreti del contrabbando
Biörn Larsson, al centro della kermesse pordenonese di quest’anno, è stato molto apprezzato dal pubblico giovane per le tematiche che gli sono care: la ricerca della libertà, le storie di mare e di pirati, i sogni da realizzare.
Le classi che hanno aderito al progetto hanno approfondito alcuni dei più famosi romanzi di Larsson, quali La vera storia del pirata Long Jhon Silver, Il porto dei sogni incrociati, I poeti morti non scrivono gialli, L’occhio del male.
Nel pomeriggio l’incontro-intervista a Cinemazero con l’autore che ha risposto ad alcune domande degli studenti: essendogli stato chiesto se preferirebbe rinunciare alla sua carriera di insegnante o di scrittore, ha risposto “senz’ombra di dubbio a quella di insegnante. Tra fare letteratura e studiare letteratura, preferisco la prima opzione. Il lavoro di insegnante però è per me imprescindibile perchè mi tiene a contatto con le persone, con la realtà. Non sono un intellettuale che si rifugia nella torre d’avorio della scrittura”.
Egli infatti afferma che “Mi piacerebbe che la letteratura fosse una boccata d’aria, un modo di interrogare e sperimentare, emozionalmente, altre vite, altri pensieri, altre emozioni, altre società. Tocca a noi, scrittori, scrivere libri che potrebbero avere questo ruolo”.




Gregoris Lucrezia – Liceo “ Le Filandiere”, San Vito al Tagliamento – classe 4°D – indirizzo linguistico
Non serve che tu sia nell’esercito per combattere la guerra
“Una specie di giallo” è una frase che da subito lascia spiazzati. La seconda reazione, però, è quella di prepararsi a leggere “I poeti morti non scrivono gialli” di Björn Larsson con quelle quattro parole impresse nella mente, quasi un monito per ricordare al lettore di non aspettarsi un libro con tutte le caratteristiche del genere, ma uno che, al contempo, se ne avvicina e se ne discosta.
Ho letto diverse critiche, più o meno marcate, alla poca importanza data all’intreccio. Ma, a tal proposito, Larsson stesso ci mette subito in guardia. Senza dubbio la trama non è particolarmente originale o innovativa. Credo, però, che la scelta di parlare di un omicidio e di dare un’impronta poliziesca al libro non fosse lo scopo ultimo dell’ opera, ma rispondesse alla necessità di creare una cornice o uno sfondo nel quale inserire i numerosissimi spunti di riflessione nascosti tra le pagine.
Mentre leggevo, mi è tornato alla mente un brano di un cantautore britannico: “You don’t have to be in the army to fight in the war”. Letteralmente significa “non serve che tu sia nell’esercito per combattere la guerra” e parla di un ragazzo che si ritrova in un parco sperando di essere morto perché ormai non ha più nulla nella vita: non ha una casa a cui tornare, non ha un lavoro.
Ci ho pensato perché, anche nel libro, si ha la sensazione che ogni personaggio sia concentrato a combattere la sua personale guerra. Petersén ne è un esempio: è un rinomato editore svedese, che combatte per far valere la letteratura di qualità. Che sia una raccolta di poesie o un giallo, che riesca a portare profitti alla casa editrice o che finisca in perdita, a lui poco importa. Il suo obiettivo è quello di pubblicare solo libri che ritiene degni di essere letti.
Nel mondo in cui viviamo, però, è difficile far valere questi principi poiché oggi l’importante per le case editrici è quello di guadagnare e, se un libro mediocre può essere un valido investimento, allora è degno di diventare un bestseller.
Se da un lato nessuno critica la scrittura approssimativa di volumi che vendono milioni di copie, chiunque è pronto ad attaccare un poeta che ha deciso di allontanarsi dal suo genere. È il caso di Jan Y.. Lo scrittore, infatti, è tormentato dall’idea di essere stroncato dai critici perché ha scelto la prosa come strumento di espressione del suo sdegno verso le ingiustizie compiute dai grandi finanzieri, come se questo bastasse a rinnegare una vita, fatta di sacrifici, dedicata alla poesia.
La scelta di cimentarsi romanziere non è intenzionale ed, inizialmente, è dettata dal desiderio di ripagare gli sforzi dell’editore, Petersén, che continua a stampare i suoi libri malgrado non vendano. Però più l’opera prende forma, più egli si rende conto di volerla portare a termine per poter urlare a tutti quanto il mondo sia ingiusto. Anche se viene minacciato, Jan Y. continua a scrivere ed alla fine viene ucciso. Malgrado ciò, i media continuano a criticare i parenti, interpretando la pubblicazione postuma del giallo come un modo per arricchire la famiglia.
Sembra quasi che ci siano libri di serie A ed altri di serie B; alcuni, quelli poetici in questo caso, degni di trattare argomenti seri e altri no.
Mi chiedo come sia possibile proporre queste distinzioni, come si possano mettere a confronto opere tanto differenti. Per fare un paragone i due termini dovrebbero avere punti in comune, ma è impossibile confrontare generi letterari che hanno scopi e caratteristiche completamente diversi se non opposti. È ingiusto arrogarsi il diritto di decidere che una categoria sia migliore di un’altra e su quali criteri, poi, basare la propria scelta?
La poesia è un tema ricorrente anche per un altro personaggio del libro, Martin Barck, impiegato della polizia portuale che nel tempo libero compone. L’uomo decide di incaricarsi delle indagini per l’omicidio di Jan Y., per la possibilità di entrare in contatto con Petersén e così coronare il sogno di pubblicare le sue poesie. Lui combatte una battaglia contro se stesso e le sue insicurezze; egli, infatti, è certo del ruolo che ricopre la poesia nella sua vita, non lo è altrettanto riguardo alle sue effettive capacità. Per questo motivo ritengo che la sua battaglia finisca nel momento in cui trova il coraggio di inviare alcuni suoi lavori all’editore. La sua passione è così forte che, malgrado questi muoia prima di poter esprimere la sua opinione, lui è soddisfatto perché, in qualche modo, il suo sogno non sembra più un’utopia e, anche se continua ad avere dubbi sul suo talento, è deciso ad andare avanti.
Credo che in ogni personaggio l’autore lasci qualcosa di sé: il coraggio, come quello di Barck, di scrivere un libro pur sapendo di non essere esperto di gialli; la scelta di allontanarsi dal proprio genere, malgrado le difficoltà, per avere modo di esprimere le proprie idee, in Jan Y.. Infine Björn Larsson sembra suggerirci che non è importante il genere del libro, ma ciò che lo scrittore vuole comunicarci e proprio come sostiene Petersén, non ci sono generi migliori o peggiori ma è indispensabile che il lettore colga gli spunti su cui riflettere.
Chiara Tersigni, II G Licei “Le Filandiere”, San Vito al Tagliamento
L’essenza del sogno
“Il porto dei sogni incrociati”: uno dei libri più belli che io abbia mai letto.
Esso rappresenta la vera e propria caratteristica del sogno, che tra l’altro dà anche il titolo alla storia, ricordandoci che il sogno è la realtà che noi ci immaginiamo, ma che il più delle volte non corrisponde a quella che stiamo vivendo. Tal volta ci avviciniamo a lui, lo sentiamo vicino e tutto ci appare più chiaro ed allora decidiamo che è davvero arrivato il momento di cambiare, che si può cambiare, ma, quando vediamo quella scintilla, essa comincia a volatilizzarsi: la rincorriamo, scordandoci di tutto il resto perché quello è diventato il nostro unico obbiettivo. Tuttavia il sogno è frutto della nostra immaginazione, è colui che conferisce sapore alla nostra vita, quella novità di cui abbiamo bisogno ma che deve per forza rimanere irraggiungibile, lontano per mantenere la sua essenza. Se diventasse certezza, tutto svanirebbe.
Marcel rappresenta il sogno, la luce che conduce ad esso e infatti egli è costretto a ripartire velocemente, per recarsi il più lontano possibile dai quattro protagonisti. Il suo intento è quello di rimanere un miraggio e ciò che più di tutto tenta di evitare è diventare una realtà, una verità. Preferisce essere leggenda che storia.
Ciò che ho provato leggendo questo libro è stato soprattutto speranza, la speranza che accadesse, al termine, qualcosa di più bello, che almeno una parte dei desideri dei quattro personaggi fosse esaudita, che Marcel mutasse la sua visione della vita e iniziasse a rappresentare una costante per gli altri, ma in particolare per Rosa Moreno, la quale gli avrebbe regalato un bambino. Speravo in un finale migliore, d’altronde credo sia comune tale speranza, ma se devo essere sincera il vero finale mi ha insegnato che non è sempre possibile ottenere un’ ottima conclusione.
Occorre talvolta scendere a patti con la realtà e sapersi accontentare guardando ai passi avanti che sono stati fatti e non a quelli che ancora si devono compiere. Ho imparato che è più affascinante sognare che non avere più nulla da desiderare e che qualcuno deve pur mantenere in vita i sogni.
Nonostante ciò ho potuto constatare con grande gioia che in parte la vita dei quattro avventurieri ha avuto una svolta positiva. Ho visto rinascere in loro l’amore vero per la vita, sono riuscita ad immaginare i loro occhi ricominciare a brillare nell’aver trovato un motivo per continuare il loro percorso. Ognuno di noi ne intraprende uno diverso, ma sono convinta che coloro i quali lo compiono con amore e conferendo significato a tutto ciò che fanno percorrono un viaggio che ha molto più sapore.
Rosa Moreno, così come Madame Le Grand, Peter Sympson e Jacob Nielsen apparivano ai miei occhi come i petali di un fiore ormai trascurato da tempo, un fiore che iniziava a perdere il suo colore e il suo profumo e cominciava ad appassire a causa della mancanza di acqua. Tuttavia, poi, a poco a poco questo fiore ha ripreso a vivere con la luce del sole, che altro non era che Marcel. I petali, così, che prima erano ormai giunti a cadere, riprendono forma.
In questo modo la giovane di Vilagarcia ha avuto il coraggio di cambiare direzione, spinta dalla nuova vita che portava in grembo, collaborando assieme a Peter Sympson, che nutriva una passione smisurata per le pietre, mentre Madame Le Grand assieme a Jacob Nielsen è riuscita a concretizzare la sua idea di ricordare ogni singolo marinaio nell’intento di dare importanza a ciascun uomo.
Inoltre sono rimasta soddisfatta nel vedere come questi abbiano smesso di lasciarsi vivere perché abbattuti, delusi o semplicemente stanchi ed abbiano aperto le porte ad altre strade comprendendo che si può sempre ricominciare, qualunque sia l’età o ciò che ti è accaduto.
Il desiderio era già presente nei protagonisti, quella voglia di dare una svolta alla vita, di realizzare i diversi obbiettivi. Bastava qualcuno che facesse loro da guida, che li rendesse importanti. A volte è necessario soltanto quello e nient’altro. Mancava quella persona che permettesse loro di credere fino in fondo nei loro sogni.
Molte volte pensiamo di farcela da soli, senza alcun aiuto, tuttavia la verità è che abbiamo sempre bisogno di una persona che ci dia la forza e la motivazione per proseguire.
Per questo è stato grande il mio dispiacere nel leggere di un silenzio che incombeva fra i quattro personaggi della storia, ognuno intento a pensare a sé unicamente. Credevo e speravo che il loro incontro si sarebbe tramutato in vera amicizia, ma il silenzio prevaleva sempre sulle parole.
Alla fine, tuttavia, essi si sono convinti a collaborare, perché è solo con la cooperazione e l’aiuto reciproco che sono giunti ad una conclusione migliore.
Ciò che più di tutto mi ha ricordato questo libro è il fatto che a questo mondo non siamo soli, che occorre essere come i libri: ricchi di pagine, pagine sulla nostra storia, sulla nostra vita pronte per essere lette da qualcuno, perché possiamo essere anche noi “venditori ambulanti di sogni” e infondere ai sogni degli altri nuova vita.