Dal 2014 le classi del Liceo impegnate nel Progetto Olocausto hanno contribuito alle iniziative per il Giorno della Memoria di San Vito proponendo alla cittadinanza in una mostra i risultati del loro lavoro e le loro riflessioni. Quest’anno le attività del Progetto non si sono potute svolgere. Ma rimane l’imperativo: non dimenticare che questo è stato.
Victor Klemperer (Landsberg an der Warthe, 1881 – Dresda, 1960) fu uno studioso tedesco di filologia romanza e germanica, dal 1920 titolare della cattedra di Filologia Romanza presso l’università di Dresda.
Di famiglia ebraica, e cugino del direttore d’orchestra Otto Klemperer, si convertì nel 1912 al protestantesimo. Nel 1935 venne privato della cattedra universitaria a causa delle sue origini ebraiche e dal 1940 fu costretto a vivere in una delle Case degli ebrei di Dresda. In quanto coppia mista (la moglie Eva non era ebrea) i coniugi Klemperer furono risparmiati dalle deportazioni fino al febbraio del 1945: il bombardamento alleato di Dresda (13-14 febbraio) e la confusione che ne seguì li salvò dal trasferimento in un campo, previsto per il 15 febbraio. Giunti rocambolescamente in Baviera, attesero la fine della guerra come comuni sfollati.
Dall’avvento al potere di Hitler, nel gennaio 1933, fino alla fine della guerra Klemperer tenne un diario quotidiano da cui trasse le note di carattere linguistico e lessicale che costituiscono la “LTI. Lingua Tertii Imperii”: una registrazione operata con lo sguardo del filologo e del linguista della progressiva trasformazione della lingua tedesca piegata a esprimere l’ideologia e la propaganda nazionalsocialiste. Per tutta la durata del regime hitleriano, in condizioni man mano più difficili e sempre più pericolose, Klemperer proseguì caparbiamente la propria attività scientifica, mantenendo viva la scintilla dell’umanesimo e della scienza nei tempi più bui.
29 ottobre 1933
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Ieri sera è stato da noi Gusti W., tornato dopo quattro mesi da Turö, dove assieme a sua sorella, Maria Strindberg, è vissuto in casa di Karin Michaelis. Là si è formato, alla luce del sole, un piccolo gruppo di comunisti emigrati. Gusti ha raccontalo particolari agghiaccianti (naturalmente «atrocità inventate» che si possono solo sussurrare in segreto), soprattutto delle sofferenze che Eric Muhsarn, oggi sessantenne, deve sopportare in un campo di concentramento particolarmente duro. Si potrebbe modificare il proverbio e dire: il peggio rivaluta il male; comincio veramente a ritenere quello di Mussolini un regime quasi umano e europeo.
Mi chiedo se si debbano includere nel lessico della lingua hitleriana le parole «emigrati» e «campo di concentramento». La prima ha designato universalmente coloro che fuggivano dalla Rivoluzione francese (Brandes ha dedicato alla letteratura degli emigrati un volume della sua storia della letteratura europea), più tardi si è parlato degli emigrati in seguito alla Rivoluzione sovietica. Ora c’è un gruppo di emigrati tedeschi – nel loro campo si trova la Germania – e la «mentalità da emigrati» è un mot savant molto usato. Quindi non è detto che in futuro a questa parola resti attaccato l’odor di carogna del Terzo Reich. Invece per quanto riguarda il campo di concentramento… Questa parola l’ho sentita da ragazzo e allora mi pareva avesse un suono per nulla tedesco, ma piuttosto esotico-coloniale; durante la guerra boera si parlava molto dei compounds o campi di concentramento in cui gli inglesi tenevano sotto sorveglianza i prigionieri boeri. Poi la parola scomparve completamente dall’uso linguistico tedesco. Ed ecco che ora, ricomparendo all’improvviso, designa un’istituzione tedesca, una istituzione che in tempo di pace e su suolo europeo si rivolge contro tedeschi, una istituzione permanente e non una misura temporanea, da tempo di guerra, contro dei nemici. Credo che quando in futuro si parlerà di campi di concentramento si penserà alla Germania di Hitler e solo a quella…
Tratto da:
Viktor Klemperer, LTI. La lingua del Terzo Reich. Taccuino di un filologo, Giuntina, 20186, p. 55.
Edizione originale: Viktor Klemperer, LTI. Notizbuch eines Philologen, Berlin 1947.
Ricordo della Memoria
Riflessione sul Progetto Olocausto
Quante volte abbiamo tentato di rinnovare la memoria, di spolverare la mente dalla cappa del conscio/incoscio oblio dei passati scomodi, la cappa ghetto interiore, per citare Amigorena, con il fine nobile e presuntuoso di rendere comprensibile ciò che forse non è tale, di rendere leggibile ciò che non è tale, di rinnovare un inimmaginabile dolore in una anacronistica condivisione. Di aprirci, insomma, al passato più bieco che, comunque, dovrebbe insegnarci. L’esserci riusciti è fine poco certo e dimostrabile, ma minuscoli segnali nei comportamenti sguardi gesti parole ammiccamenti culturali pur li abbiamo colti negli Studenti che così ci comunicavano di aver capito il fine, di aver colto l’importanza, di aver tentato la condivisione… e abbiamo continuato negli anni il lavoro collegiale di interi Consigli di Classe convinti che fosse giusto e proficuo gestire argomenti più grandi di noi tutti con la speranza di indicare ai giovani una via comportamentale che dimostrasse la nostra umanità e socialità e senso democratico contrastanti nettamente con quelle esperienze tristi e malvagie che indagavamo.
Quante volte li abbiamo condotti i nostri Studenti alla ricerca del nostro comune passato di essere umani, nella teoria prima e nella pratica poi, aggiungendo alle analisi libresche la sperimentazione dei luoghi, concreta nei viaggi che offrivano loro, pure, l’ampliamento della esperienza di spostamento verso mete che, forse, mai nella vita avrebbero raggiunto. E gli Studenti, nel loro alternarsi alla scoperta di immani torture storiche filtrate dall’evolversi dei tempi, impattavano, certo inconsapevoli, dimensioni diverse, anche socio-politiche dalla lacrimosa Polonia orfana di Wojtyla a quella prepotentemente sovranista, diversità ben evidenziate da comportamenti e parole e ragionamenti di guide, accompagnatori, autisti… mentre Auschwitz tale rimaneva nella sua inquietante e ambigua funzione. Una esperienza formativa e informativa, potremmo azzardare, stratificata di memorie pesanti da tollerare nella loro evanescenza e di un presente mutevole ma concreto.
Ma la Memoria? Rimarrà memoria? Rimarrà consapevolezza interiore, coscienza intima? sarà distrutto il comodo ghetto interiore e sostituito da uno spazio aperto soleggiato in cui muovere i nostri pensieri di esseri liberi dal sopruso, dalla differenza e indifferenza, dalla incomprensione, dal pericolo?
Che non rimanga solo il ricordo della Memoria, ricordo tenue e sporadico, come di una festa passata che ci ha divertito e che ancora ci fa partecipi. Ma rimanga, speriamo, consapevolezza comprensione condivisione solide costanti costruttive, almeno nel loro portato umano.
Bisogna essere tenaci, proseguire nel progetto, continuare a coinvolgere o almeno tentare, non demordere. Poi… chissà…
Ma non appendiamo le nostre cetre…
Il Progetto Olocausto iniziò nell’anno scolastico 2004/2005 nella sua forma più organizzata, partendo da esperienze precedenti al 2000, sempre più coinvolgendo Studenti e Docenti impegnati in studio e ricerche, tanto da diventare progetto caratterizzante il Liceo e da essere riconosciuto dagli Enti locali con i quali si è sempre più rafforzata la collaborazione.
Siamo presenti anche oggi, 27 Gennaio 2021, a celebrare, semplicemente e tristemente.
Trasmetto, in fine, quanto Piero Maieron, sopravvissuto ai campi di sterminio ma non alla vita e mio primo riferimento nelle attività sull’Olocausto, scrisse tanti anni fa come dedica per me in una copia del suo libro “Gli Untermenschen”:
Al prof. Gianattilio Valentinis,
affinché nel tempo possa ricordare
ai giovani della Scuola quanto
è costata la libertà e la
democrazia nel nostro Paese.
Che altri ne facciano tesoro prezioso tanto quanto ne ho fatto io.